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Arriva Disney+: ecco i film e le serie disponibili al lancio
di Luca Fontana
Disney+ sarà disponibile a livello internazionale. Le cifre degli abbonamenti fino ad oggi mostrano che il servizio è un vero successo. Ma se persisterà a lungo termine o no, dipende dal fatto che la Disney non ripeta lo stesso errore di Netflix.
Se dipendesse dalla Disney, la seconda stagione di Mandalorian sarebbe pronta per essere trasmessa già oggi, piuttosto che domani. Dopo tutto, «The Mandalorian» ha un gran successo, di cui sia critici che fan sono entusiasti e che contribuisce in modo significativo al boom degli abbonamenti a Disney+.
In cifre: 28,6 milioni di persone hanno sottoscritto un abbonamento a Disney+ a partire dal 2 febbraio – appena tre mesi dopo il lancio negli Stati Uniti. Non sono ancora disponibili dati più recenti. Ma, nel frattempo, dovrebbero essere più alti. Anche perché il servizio di streaming si sta diffondendo a livello internazionale: Disney+ è ora disponibile anche in Svizzera e in Germania.
Le cifre relative agli abbonamenti sono buone perché l'ex CEO di Disney Bob Iger si aspettava una crescita molto più bassa: 18 milioni di abbonati – all’anno. Il primo passo verso la creazione di una base di clienti più ampia possibile è già stato fatto.
Il passo successivo è quello di mantenere questa base di clienti a lungo termine. La riuscita dipende dal fatto che la Disney eviti o meno l’errore che Netflix ha commesso in passato.
In questo momento non sembra che segua le sue orme.
Di quale errore parlo? Per spiegartelo devo andare un po’ indietro nel tempo, e illustrarti come l’ex società di noleggio DVD è diventata un gigante dello streaming.
Alla fine del 2007, il CEO di Netflix Reed Hastings vede arrivare la fine dei supporti di memorizzazione fisica prima di chiunque altro. Per questo si gioca una carta ben precisa: punta tutto sullo streaming. Per l’azienda, questo significa rinunciare alla propria attività di noleggio di video e DVD. Le tasse di licenza vengono invece pagate alle società di distribuzione e di produzione per includere i loro film e le loro serie nella loro biblioteca di streaming – per esempio alla Disney.
Un rischio. Perché alla fine del 2007 la qualità dello streaming è pessima. Peggio della qualità DVD. Nessuno se lo aspettava,
ma i conti tornano.
Netflix migliora la qualità dello streaming e amplia la sua selezione. Tra il 2007 e il 2010, il nuovo servizio di streaming conclude accordi di collaborazione con Microsoft, Sony e Apple e rende così disponibile il suo servizio su numerose piattaforme. Alla fine del 2011, Netflix conta più di 20 milioni di abbonati.
Lo scetticismo lascia il posto all’ottimismo. Le società di distribuzione e produzione vedono in Netflix una nuova e interessante fonte di incassi. Proprio perché le vendite di DVD crollano nello stesso momento, mietendo molte vittime. Uno di loro è l'ex gigante della distribuzione Blockbuster.
Netflix si afferma. Ma la sua ascesa fulminea mostra anche quanti soldi ci sono nel business dello streaming e nel suo modello di abbonamento – soldi su cui anche i distributori e i produttori vogliono mettere le mani.
Le trattative per il rinnovo delle licenze stanno diventando sempre più complicate; i titolari dei diritti chiedono tariffe sempre più elevate. Netflix è ancora in gara. Ma il mercato dello streaming, in costante e radicale cambiamento, richiede una nuova strategia: le produzioni interne.
Nel 2013 i californiani di Los Gatos, dove si trova la sede centrale di Netflix, lanciano «House of Cards» e «Orange is the New Black». Le produzioni interne non solo vengono acclamate dalla critica, ma dimostrano anche la legittimità di Netflix come produttore di grandi show televisivi in stile HBO. Grazie a queste produzioni interne, non sono più necessarie travagliate trattative di licenza. Inoltre, l'esclusività degli originali attira nuovi abbonati e li convince a rimanere, nel caso in cui altre serie o film popolari escano dalla biblioteca autorizzata. Molto più di quanto possano mai fare vecchi classici.
Ma investire negli originali lascia meno soldi per i diritti di licenza: tra il 2012 e il 2016, Netflix perderà circa metà della sua offerta concessa in licenza. Netflix deve agire – anche a causa della nuova concorrenza di streaming. Deve agire in fretta. Viene effettuata una nuova correzione di rotta: la quantità prima della qualità. Perlomeno per quanto riguarda le produzioni proprie. In altre parole, la biblioteca che si sta restringendo deve essere riempita di nuovi contenuti originali.
I responsabili di Netflix trascrivono l'obiettivo in numeri: il 50 percento dell'intera biblioteca Netflix dovrebbe essere costituita da produzioni interne. Di conseguenza, numerosi progetti quali «Fuller House», «Frontier» o «Bright» vengono fatti passare in fretta e furia, e non riescono a tenere il passo con le produzioni precedenti in termini di qualità e contenuti. Nel 2016 i californiani investono circa 6 miliardi di dollari nelle proprie produzioni. E la tendenza è in crescita: nel 2019 ha già raggiunto 15,3 miliardi di dollari, e alla fine del 2028 sarà di oltre 28 miliardi di dollari all'anno. Percentuale di produzioni interne nell'ottobre 2018: 37 percento.
Netflix ha ora 167 milioni di abbonati. La scorsa estate erano 150 milioni. Quindi il numero è in aumento.
In un articolo pubblicato nel luglio 2019, la rivista economica Forbes parte tuttavia dal presupposto che la strategia di Netflix fallirà. Sebbene Netflix sembri essere in buona salute da un punto di vista globale, la crescita delle sottoscrizioni, in particolare sul mercato statunitense, è inferiore alle previsioni da anni.
In altre parole: Netflix, in termini di abbonati, non cresce abbastanza velocemente da coprire in modo sostenibile i costi operativi in costante aumento.
Perché secondo il Nasdaq, dal 2016 l'azienda ha speso circa 2 miliardi di dollari in più di quanto guadagna ogni anno. Finora questo ha avuto scarso effetto sulle quotazioni; la fiducia in Netflix è elevata. Ma se i californiani continuano a guadagnare meno soldi di quanti ne spendono, gli investitori riporranno presto la loro fiducia da un’altra parte.
Cosa impedisce a Netflix di crescere più velocemente? In parole povere: per la strategia di produrre molto e velocemente, l'offerta è complessivamente buona in termini di qualità e contenuti, ma non ottima. Inoltre, Netflix è uno dei servizi streaming più costosi al mondo. Di conseguenza, i clienti si aspettano serie di alta qualità come «Stranger Things» o «The Crown» prodotte a cottimo, ma non le ottengono. Non aiuta il fatto che ci sia la concorrenza di HBO, Amazon, Apple, Warner Bros, Sky e Universal.
Disney+ si sta dirigendo verso lo stesso problema di Netflix.
La situazione di partenza della Disney è diversa da quella di Netflix: la Disney può risparmiarsi costose tasse di licenza perché il famigerato Disney Bunker contiene già la maggior parte dei classici. Inoltre, ci sono anche i marchi acquistati.
Ci sono i film d'animazione Disney e Pixar, ad esempio, che sono perfetti per famiglie e bambini. I film Marvel e Star Wars, alcuni dei quali sono tra i film finanziariamente più riusciti e celebrati di tutti i tempi. E il National Geographic, come ciliegina sulla torta, offre agli avidi di sapere documentari che hanno vinto premi Oscar. Tutto in un unico posto: Disney+.
La Disney sa quindi che la sua biblioteca arretrata – la biblioteca delle produzioni interne esclusive – è assicurata a lungo termine; a differenza di Netflix, non si riduce a causa della scadenza delle licenze. Oltretutto, è forse addirittura la più attraente sul mercato. Almeno dal punto di vista di Hollywood: Pixar, Marvel o Star Wars – sono marchi forti. Quindi c'è molta meno pressione sulla Disney per fornire produzioni esclusive.
In altre parole: la Disney non ha un problema di backlog come Netflix.
Tuttavia, questo da solo non è una garanzia che gli attuali 28,6 milioni di abbonati rimarranno con la Disney. Secondo uno studio di Forbes pubblicato ma non condotto da loro, le due principali ragioni per la disdetta di un abbonamento negli USA sono le seguenti:
L’attrattività di un servizio di streaming risiede quindi principalmente nelle sue esclusive produzioni interne, non nella sua biblioteca preesistente. Sembra banale, ma è importante. Perché la Disney si affida al fascino della sua biblioteca backlog. A lungo termine, non sono i contenuti che la gente già conosce a far sì che gli abbonati rimangano tali, ma i nuovi contenuti forniti (perlopiù regolarmente) – appunto, le produzioni interne. Nel caso della Disney, gli originali Disney.
E sono loro ad avere un problema.
La maggior parte degli originali Disney sono mediocri o al massimo carini. Le eccezioni sono rare: «Togo», un film grandioso con Willem Dafoe; «The Imagineering Story», uno dei migliori documentari sulla Disney, anche «The World According to Jeff Goldblum» è ottimo, perché è una serie di mero info-tainment, ma che sprizza fascino Goldblum da tutti i pori.
Solo che nessuno ne parla. E questo è il grande problema. Perché l'unico originale Disney che finora ha incontrato altrettanto interesse come «The Witcher» di Netflix, è «The Mandalorian». E considerando quanto siano importanti gli originali nella percezione degli abbonati, è troppo poco per un servizio che si affida alla reputazione premium del marchio Disney. Soprattutto perché la prossima stagione di Mandalorian non uscirà prima dell’ottobre 2020.
La stagione finale di «Star Wars: The Clone Wars» messa in onda ora, aiuta a colmare un po’ questo vuoto. Ma solo tra i fan già esistenti della serie. È difficile attirare nuovi abbonati con questo. Il prossimo originale che ha buone possibilità di successo come «The Mandalorian», è «Falcon and the Winter Soldier». L'uscita della serie è prevista per agosto 2020. Fra cinque mesi. La prossima produzione Marvel – «WandaVision» – seguirà nel dicembre 2020. «Loki» non uscirà prima della primavera del 2021.
Sono lunghi tempi d’attesa.
Nel frattempo, Disney+ si accontenta di lanciare originali mediocri, ben prodotti, ma che non interessano a nessuno. «Timmy Failure», per esempio, è noioso. I mini documentari «One Day at Disney» sono interessanti, ma con 5 minuti per episodio sono superficiali e troppo brevi. E attualmente Disney sta commercializzando «Stargirl», lanciata il 13 marzo, come la prossima grande storia d'amore adolescenziale e storia Coming-of-Age. Ma in realtà il film non fa altro che copiare film simili, persino male.
Lo dimostra anche l’analisi Google Trend qui sotto: rispetto a «The Mandalorian» e «The Witcher», «Stargirl» suscita molto interesse il giorno stesso del lancio, ma si perde con la stessa velocità con cui è cresciuto. Una settimana dopo il lancio, «Stargirl» viene addirittura superata da «The Mandalorian» – una serie che esiste da mesi.
Allora, cosa deve fare meglio la Disney – a parte l'ovvio, cioè produrre originali migliori?
Non abbiamo modo di sapere se l'articolo di Forbes di cui sopra, che prevede il fallimento di Netflix, abbia ragione. Ma possiamo immaginare a quale scopo un originale come «Stargirl» sarebbe servito su Netflix: avrebbe ampliato la biblioteca e si sarebbe rivolto ai giovani adulti. O semplicemente a coloro che sono abituati a navigare nella biblioteca di Netflix e a guardare ciò che l'algoritmo di Netflix suggerisce per soddisfare le proprie abitudini di visione.
A causa del suo problema di backlog, Netflix deve produrre molti nuovi contenuti in breve tempo. A volte a scapito della qualità. Come «Stargirl», per esempio. Ma questa tattica «la cosa più importante, è che c'è qualcosa per tutti» può funzionare solo per Netflix. Dopotutto, questo è il suo punto di forza: chiunque può trovare su Netflix qualcosa che gli piace.
Ma cosa significa allora Disney+?
Decisamente non diversità. Al massimo «Adatto alle famiglie». Questo è il significato della Disney. Ma Disney stessa sembra non sapere cosa significhi nel caso di Disney+. Recentemente, «Live, Victor», una serie adolescenziale su Victor, gay non ancora dichiarato, è stata spostata da Disney+ a Hulu , il servizio di streaming Disney più adatto a contenuti per adulti. Pare che «Love, Victor» non sia abbastanza adatto alle famiglie, secondo Disney.
Questi giochetti non sono utili per delineare chiaramente un profilo. Perché la Disney deve imparare a definirsi al di là del proprio nome storico e del suo marchio. Ciò che aiuterebbe è produrre contenuti di qualità. Meglio ancora: solo contenuti di qualità. Come Netflix ai tempi di «House of Cards» e «Orange is the New Black». Così come ha fatto la Disney con «The Mandalorian» quattro mesi fa.
Invece c'è «Stargirl» o «Timmy Failure».
L'attenzione alla qualità darebbe alle persone reali ragioni per mantenere l'abbonamento a Disney+ dopo aver visto The Mandalorian. Anche se la Disney non può offrire la stessa quantità e diversità di Netflix.
La posizione di partenza per la Disney non potrebbe essere migliore. L'azienda può anche permettersi di prenderla con calma: non c'è nessun problema urgente di backlog. Solo che la Disney non lo fa. Peggio ancora, la Disney, nel tentativo di competere con Netflix, ripete la (discutibile – secondo Forbes) decisione di Netflix di privilegiare la quantità rispetto alla qualità.
Vedremo ad agosto 2020, quando arriverà «Falcon and the Winter Soldier».
La mia zona di comfort consiste in avventure nella natura e sport che mi spingono al limite. Per compensare mi godo anche momenti tranquilli leggendo un libro su intrighi pericolosi e oscuri assassinii di re. Sono un appassionato di colonne sonore dei film e ciò si sposa perfettamente con la mia passione per il cinema. Una cosa che voglio dire da sempre: «Io sono Groot».